Riflessioni sconclusionate

Pensieri a ruota libera

Vi capita mai di lasciare liberi i pensieri e le sensazioni? A me sì, ogni tanto.

Ne possono nascere idee, qualcuna persino buona, intuizioni, e tante fesserie. Oggi lascio che i miei pensieri divengano parole scritte, riflessioni in piena libertà, e confusione.


Qualche giorno fa mi hanno colpito le parole di Michela Murgia che, quando Massimo Gramellini le ha posto la domanda: ti sei mai chiesta perché, perché proprio a me? ha risposto che non si è chiesta il perché del tumore, e non l’ha fatto perché non si è mai chiesta il perché delle cose belle che le sono capitate, quindi non era il caso di chiedersi il perché delle cose brutte.

Un bella risposta, una bella spiegazione, piena di buon senso e significato.

Però, ecco, il fatto è che io mi chiedo perché sia per le cose brutte che per le cose belle.

No, il mio non è un perché ossessivo. Neanche quando ho avuto la diagnosi di tumore mi sono chiesta perché proprio a me piangendomi addosso.


Io sono più allineata alla parole di Albus Silente in Harry Potter e il calice di fuoco: Deve capire: capire è il primo passo per accettare, e solo accettando si può guarire.


Il mio chiedermi perché è legato ad una specie di filosofia di vita: ogni esperienza significativa, bella o brutta, insegna qualcosa, quindi capire perché vuol dire, per me, comprendere cosa posso o devo imparare.


E c’è un altro elemento, per me importante, ci sono vari modi per capire. Si può capire col cervello della testa, una bella spiegazione logica e razionale. Serve, è rassicurante.

  • Si può capire col cervello del cuore. In questo caso si accoglie.
  • Si può anche capire col cervello della pancia. Più complesso, almeno per me, perché la pancia reagisce, urla, ma per leggerla devo passare attraverso il cuore o attraverso la testa.

A volte mi impegno su cose serie, altre volte su stupidaggini, ma non sempre le sciocchezze sono meno affascinanti rispetto alle grandi domande.


Oggi, ad esempio, leggo che Papa Francesco è in ospedale, operato di laparocele addominale.

  • Questo è un fatto, una notizia.
  • Un altro fatto è che io e il Papa siamo nati nello stesso giorno, anche se a distanza di anni.
  • Il terzo fatto di questa storia è che entrambe siamo stati operati all’intestino due anni fa, pur con operazioni diverse, e ora anch’io ho un laparocele addominale, e dovrò essere operata.

Non credo che tutti coloro che sono nati il 17 dicembre di un qualunque anno debbano essere operati di laparocele, però sto cominciando a guardare l’oroscopo con occhi diversi


E visto che siamo sulle questioni cosmiche, parliamo di cambiamento climatico. C’è o non c’è il cambiamento climatico? È dovuto all’inquinamento? Siamo a rischio di estinzione o disastri ambientali?


Cominciamo dalla fine.

Oso dire che i disastri ambientali non sono un rischio, ma una realtà, anche se non mi sembrano una novità improvvisa. L’inquinamento c’è. Non metterei, però, neanche un dito sul fuoco per dichiarare che le soluzioni ipotizzate siano risolutive.

Non so se il fantomatico cambiamento climatico ci sia o no. So, però, che la Terra è viva, ha dei cicli, delle variazioni, e va rispettata. Se costruiamo nei letti dei fiumi, nelle zone a rischio di frane, se non prestiamo attenzione ai boschi, agli argini, siamo pessimi abitatori di questi pianeta. Questo, forse, potremmo capirlo senza dotte discussioni e inutili polemiche.

Avrei un’altra domanda. Chi si è fregato il deluminatore?

Noi siamo fatti di luce e ombra, e la vita stessa è composta da luce e buio. Questo lo comprendo, e ha un senso. Però qualcuno ha spento tutte le luci tre anni fa e si è portato via il deluminatore. Lo rivoglio indietro!

Vabbé, basta con le fesserie. Alla prossima puntata.

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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.
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Spesso a diagnosi di malattia grave fa scattare l’inizio di percorso di gestione dell’esperienza, di un viaggio dell’eroe. Portare a termina il nostro viaggio, iniziato con la diagnosi, fa vincere un premio molto speciale.
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