Per vivere male
Consigli e comportamenti ad hoc per rovinarsi la vita, e fare anche danno agli altri

Da tempo cerco di spendermi nel dare suggerimenti pratici per vivere meglio, raccontandovi fatti, riflessioni e modalità trovate nella mia personale ricerca di una buona serenità e qualità di vita.
Oggi ho deciso di fare qualcosa che di per sé è un controsenso: dare consigli per rovinarsi la vita e usare l’ironia.
Già, perché se volete rovinare la vita a voi stessi, o agli altri, l’ironia è bandita, soprattutto l’autoironia è davvero pericolosa: fa sorridere, induce accettazione, cambiamento, tenerezza, tutte cose dannosissime per chi ha l’obiettivo di vivere male.
Subito dopo l’abolizione dell’ironia e la guerra all’auto-ironia, il miglior consiglio che posso darvi è quello di pretendere dagli altri qualcosa che non può essere realizzato.Il modello originale è quello della “mamma ebrea”: metodo famoso e portato alla conoscenza di tutti da Moni Ovadia. Però il modello originale può essere sviluppato e rafforzato anche se non siete né mamme né ebree, e può diventare un utile strumento per la vita di tutti i giorni.
Vediamo qualche esempio pratico.
- Chiedete ad una collega di fare qualcosa insieme a voi, ad esempio sistemare il magazzino. Attenzione: scegliete accuratamente quella collega che ha problemi in famiglia: due figli piccoli, un marito che viaggia, una genitore anziano da accudire. Migliorate la selezione cercando quella collega che, oltre alle condizioni precedenti, soffre anche di gastrite, è allergica alla polvere, soffre di claustrofobia. Se poi siete dei veri professionisti, potete aggiungere un tocco di classe scegliendo quella che vi ha appena raccontato, in totale confidenza, che sta facendo delle analisi perché ha strani problemi di salute, o che in questo momento si sente depressa … le potenzialità sono infinite.
- Ovviamente la collega vi dirà che non può aiutarvi. Ed ora scatta la fase B, che per avere pieno successo deve essere svolta con due modalità in parallelo.
- Da una parte convincetevi che tutto ciò che va storto dal momento del rifiuto in poi è colpa della collega. C’è stata una perdita d’acqua, i dati a computer non corrispondevano a ciò che era fisicamente presente, è saltata la corrente, faceva freddo e vi siete presa il raffreddore, tutto solo perché nessuno vi ha aiutato … Un po’ di fantasia e buona volontà, e ci crederete davvero. Parallelamente rinfacciatele costantemente che non ha voluto darvi una mano. Anche qui, che diavolo, usate la creatività!
- E lamentatevi anche con gli altri …
In breve avrete scatenato una tale tensione e un tale bailamme di pettegolezzi, rancori e sofferenze che sicuramente vi coinvolgerà.
Un altro metodo, leggermente più complicato, ma altrettanto efficace è quello di creare un circuito di ghettizzazione. Il punto di origine è la propria insicurezza (chi non ne ha?).
Chi si sente insicuro ha svariate possibilità: dare comunque il meglio di sé, consapevolmente, e imparare qualcosa ogni giorno (funziona, ma rende le persone più felici, quindi ve lo sconsiglio!). Avete dunque alcune possibilità:
- Accettare i propri limiti, e rimanere nella aree di confort (limita, alla lunga aumenta insicurezza e infelicità, ma è un processo lungo)
- Abbattere gli altri in maniera aggressiva (ma di solito prima o poi qualcuno reagisce, quindi è pericoloso)
- Ghettizzare gli altri.
Il gioco consiste nel trovare qualcosa in cui volete eccellere, volete essere considerati il meglio del meglio. Attenti, perché se siete davvero bravi gli altri ve lo riconosceranno, quindi non vale. Deve essere qualcosa in cui vi si riconosce competenza, ma non siete ritenuti “i capi”.
A questo punto cominciate il processo, con pazienza e costanza.
- Trovate per ciascuno dei vostri colleghi una caratteristica per la quale gli riconoscete che ne sa più di voi.
Poniamo il caso che vogliate essere considerati i migliori sulle dinamiche di apprendimento. Ora potete cominciare a dire che vi inchinate a Giuseppe per le competenze sui prodotti veterinari, ad Elena per la capacità dialogare col cliente, a Laura per come conosce l’omeopatia … Sottolineate bene l’argomento per cui vi inchinate: dovete essere abilmente convincenti e un po’ melliflui, lasciare il discorso in sospeso.
Il termine ghettizzazione
viene proprio da qui: riconoscere una, ed una sola, capacità ad una persona, in modo che venga ghettizzata in un recinto abilmente costruito da voi.
Dopo un po’ potete anche completare le frasi:
Certo, mi inchino a Giuseppe quando si parla di prodotti veterinari, sono io il primo ad inchinarmi, ma se parliamo di dermatologia …
Pochi avranno il coraggio di opporsi, perché negarvi quello spazio che vi siete scelti significa andare alla rissa, ma in breve molti vi eviteranno, e potrete così essere un bel po’ più infelici di prima, ma con la soddisfazione che avrete reso infelici anche gli altri, perché è davvero difficile uscire la una ghettizzazione ben costruita.
Per ora mi fermo qui, ma state tranquilli: ci sono altri metodi infallibile per rovinarsi la vita!

La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …

Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.






