News Giugno 2019: voglia di nuovo
L’aria è ferma, stagnante, e non solo per il caldo, in questo giugno 2019. L’accetto, ma non mi piace proprio.

Ho voglia di nuovi progetti e di entusiasmo, e poi questa situazione ferma mi fa pensare di aver sbagliato qualcosa o di essere sbagliata in qualcosa.
Ma cercherò di essere un po’ più razionale in questo esame di fine mese: lo scrivo proprio per mettere i puntini sulle i.
C’è stata da poco la seconda serata del progetto Gestire le esperienze difficili, in collaborazione con PNL Evolution: è sicuramente stata una serata felice e pienamente soddisfacente, per me e per chi ha partecipato.
Ho partecipato al week end di chiusura della KBA, Karmic Business Academy, progetto in cui ero stata relatrice a febbraio (a proposito: presto racconterò di cosa di tratta perché merita davvero di essere conosciuto): sono state giornate di entusiasmo e felicità che mi hanno dimostrato che forse non sono nel giusto credendo che si possa costruire un mondo migliore, ma sicuramente non sono la sola a pensarlo e a provarci!
I miei ultimi libri L’eroe e il paziente e Quattro passi in galleria – quando non vedi la fine del tunnel, arredalo si fanno strada: forse non quanto vorrei, ma sicuramente in linea con l’impegno che metto nella loro promozione.
- Aumentano gli iscritti al corso Due giorni con l’I Ching che terrò a Milano il 5 e 6 ottobre.
- Continuo il lavoro sul mio prossimo libro e persino la salute, in attesa dei prossimi controlli di luglio che, ovviamente, mi mettono ansia, è buona.
- Ho un po’ di difficoltà economiche, ma ancora non rischio la prigione per debiti.
Insomma, non ho niente di cui lamentarmi, e sono felice, eppure…
Ecco: è quell’eppure che mi frega!
Perché ho preso diversi contatti per lavoro e per la prima volta da quando ho iniziato a lavorare (era il 1984!) sono stata io a cercare il contatto, a propormi per un lavoro, un progetto, un corso di formazione, una consulenza. Ero abituata che mi cercavano, ma ho pensato che gli anni di fermo per malattia mi avevano sicuramente fatta dimenticare, quindi mi sono sforzata (non sapete quanto!). Risultato nullo. Proprio nullo. Nessuno mi ha detto di no, ma nessuno mi ha sostanzialmente risposto o perché non rispondono alle mail o perché tergiversano con un improbabile futuro.
Lo so, è normale, ma la mia sensazione di essere sbagliata non lo capisce.
E poi nel profondo credo sia ora di rinnovare completamente la mia presenza sul Web, e ho persino qualche idea, e mi risuona la voce di mio padre il meglio è nemico del bene, come se cambiare e rinnovare per migliorare fosse un rischio che non dovrei proprio correre.
Insomma, nonostante tutto giugno è un mese di frustrazioni che fanno capolino o, per essere più chiara, che sembrano le improvvise e violente grandinate che abbiamo visto in questi giorni.
Alla prossima puntata!

La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …

Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.






