2018: i progetti e gli impegni
Riflessioni, progetti e buoni propositi per il 2018.

Non si finisce mai di imparare o, per citare Eduardo De Filippo, gli esami non finiscono mai.
Ne ho avuto un’ulteriore conferma nei tre anni passati e se mi chiedete perché, improvvisamente, ragiono a multipli di anni pur segnalando, anno per anno e anno dopo anno, auguri e progetti, vi posso rispondere che ho ottime ragioni per farlo. I tre anni appena terminati sono stati davvero duri e, per scaramanzia, li metto in un blocco unico, per lasciarmeli alle spalle definitivamente, per chiarire che quel periodo voglio che sia finito, caso mai a qualcuno venisse in mente che il 2018 possa appartenere ancora al famigerato gruppo. Riconoscere gli ultimi tre anni come particolarmente difficili non significa che li desideri cancellare: mi sono serviti e ho imparato tanto. È un po’ come quando raggiunsi la laurea: è stata dura, ho imparato tanto, non fatemi tornare indietro nemmeno di un giorno a ripetere l’esperienza, per favore.
Ho imparato che se ci fosse un campionato di resilienza, potrei partecipare. Vincere un premio forse no, ma partecipare a pieno titolo sicuramente sì.
Per me è stata dura, e per il mio conto in banca molto di più. Certo, devo ringraziare di aver avuto i risparmi.
Ho imparato che quando sei davvero nei guai e chiedi aiuto, la cosa peggiore non è la porta chiusa o sbattuta in faccia:
negli ultimi tempi ne ho prese diverse e sicuramente fanno male, ma fanno ben più male le false porte aperte, le promesse di aiuto “certo” che si traducono in un fantastico tergiversare di scuse per cui le promesse non si realizzano mai.
E fanno male, tanto, le profferte di aiuto e amicizia che si traducono in sfruttamento.
Perché quando stai male ci credi, vuoi crederci,
vuoi credere che esista amicizia, onestà. Sono abbastanza vecchia e, spero, saggia, per non avere aspettative, per non pretendere che altri si carichino dei miei problemi visto che hanno già i loro, eppure proprio perché sono abbastanza vecchia chiedo il rispetto di evitare di farmi false promesse nel momento in cui sono più fragile. Anche perché appena mi rialzo … partono auguranti vaffanculo.
Ho chiuso il 2017 facendo pulizie, a partire dagli archivi e continuando con alcune attività che, sicuramente, mi portavano a disperdere tempo ed energie. Non è stato facile. Lasciar andare
è una lezione davvero importante nella vita. Per me è la più dura.
Non so se ho imparato davvero (lo dirà il tempo). Sicuramente ho fatto grandi passi avanti.
E se in questi ultimi anni ci sono state lezioni, ci sono state anche importanti conferme. Ne cito una, la più importante di tutte: il potere dell’amore, dell’amicizia. Parlo di affetti sinceri, e poco importa se ci si frequenta ogni giorno, poco importa se magari ci si è visti in faccia una volta, e a volte neanche una, e poi l’amicizia è cresciuta sui social, o se ci si ritrova dopo 30 anni. L’affetto c’è, si riconosce, riempie e illumina i momenti più bui. Grazie. Lo so, un grazie non basta per ciò che avete fatto per me, amici miei, ma è profondo. Grazie!
Basteranno queste poche frasi per chiudere, finalmente, i tre anni passati? Spero di sì, ed ho voglia di guardare avanti, al 2018 … e oltre.
Sarà un 2018 con la massima attenzione dedicata necessariamente all’aspetto economico. Non è una decisione, ma una necessità.
Prosegue il mio impegno sull’I Ching, il benessere, la qualità di vita e quello sulla comunicazione in ambito salute, che considero parte integrante di quella medicina sistemica che auspico. Non si tratta di due progetti separati, ma di una serie di attività integrate che diverranno sempre più collegate durante l’anno.
L’attività sull’I Ching si arricchisce di conferenze e corsi in aula, con i primi eventi già fissati per fine febbraio nella mia amata Romagna.
Avendo razionalizzato il lavoro sui siti, posso aumentare la presenza su FB, con il chiaro obiettivo di far conoscere maggiormente le cose che faccio.
Sul fronte comunicazione e salute ho diversi lavori in corso e sicuramente questo è il nucleo del mio 2018. Certamente alcune cose non dipendono solo da me, e altre richiedono anche un pizzico di fortuna, ma farò il meglio che posso.
Dottore, mi ascolti!
il sito dedicato al paziente, verrà rivoluzionato nei prossimi mesi per dare vita ad un progetto che perseguo ormai da anni: questo è l’anno giusto.
Ho anche deciso di optare per l’auto pubblicazione di alcune cose nel cassetto: cercare un editore è uno sfinimento e il mondo del self publishing mi sembra piuttosto serio.
E poi proseguo sui corsi on line e confido di aumentare i corsi in aula.
Ecco, queste le linee guida del 2018, un anno tutto da iniziare, una vita tutta da vivere.

La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …

Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.






