2017 Propositi, obiettivi e desideri

Eccomi alle prese con un nuovo anno. Vi racconto i miei propositi, obiettivi e desideri: forse può servire anche a voi.

Sono nata il 17 dicembre: per me il bilancio di un nuovo anno anagrafico coincide col bilancio di fine anno. Non sempre è facile, ma c’è di buono che anche l’afflato creativo e propositivo di un nuovo anno solare coincide col mio nuovo anno anagrafico.
Di sogni ne ho tanti, e ne sono felice. Eppure non sono esattamente i sogni quelli che emergono in questo periodo, ma qualcosa di più concreto.
Da sempre, come più o meno tutti, il nuovo anno mi porta ad esprimere desideri. Poi ho cominciato a muovermi per obiettivi: mi sembrava più efficace e costruttivo.

Certo, ci sono differenze tra desideri e obiettivi.

Un desiderio richiede, per realizzarsi, un po’ di impegno da parte nostra e tanto impegno da parte dell’universo, o dei Santi protettori, dell’Angelo custode, o comunque da qualcosa di esterno a noi. E sì, anche un bel po’ di … fortuna.
Un obiettivo, invece, per sua definizione dipende totalmente da noi. Ci si impegna, si fatica, si cercano risorse e percorsi e si raggiunge l’obiettivo.

In questi anni mi è capitato spesso di definire e raccontarvi i miei obiettivi, soprattutto quelli per l’anno che stava iniziando. La vita mi ha sempre sbatacchiato un po’, ma con tutto l’entusiasmo (e quel pizzico di incoscienza) che ho sempre avuto sono sempre riuscita a raggiungere quasi tutti i miei obiettivi. A volte anche troppo.
Ecco: vi devo una spiegazione. Ho raggiunto gli obiettivi che continuavo a perseguire, perché a volte mi sono resa conto che non tutti gli obiettivi espressi corrispondevano veramente a ciò che volevo, nel profondo, fare o raggiungere. Talvolta fissavo obiettivi dettati da motivazioni superficiali ed era bene lasciarli andare. Altre volte, invece, ho insistito e raggiunto obiettivi che solo dopo ho scoperto essere fallaci, falsi, fuorvianti. Mi sono accanita sui miei obiettivi e ho lasciato scappare opportunità che si presentavano.

Infine la malattia mi ha insegnato che persino quando si fissano obiettivi pienamente ragionevoli, raggiungibili, può arrivare l’imprevisto. Credetemi, nessun coach, quando vi induce a fissare obiettivi SMART (specifico, misurabile, raggiungibile, rilevante e temporizzato, ma anche ecologico, responsabilizzante e che dipende solo da noi), secondo le regole del buon coaching, mette in conto la possibilità di un intervento del destino che vanifica tutto quanto avevate pensato di fare.
Ho imparato qualcosa di nuovo, anche che se muoversi per obiettivi è costruttivo, sono poi i sogni e i desideri quelli che aiutano a superare un momento difficile. Sì, il tumore mi ha portato a rivalutare i desideri e ridefinire gli obiettivi.

Arrivo quindi al 2017 con desideri, che mi permettono di andare avanti sempre e comunque, obiettivi ben selezionati da realizzare e buoni propositi. Cosa sono i buoni propositi? Un modo di vivere, ciò che possiamo ottenere indipendentemente da ciò che accade o da ciò che ci succede o, se volete una definizione più poetica, il mio fattivo, ma non concreto, contributo alla mia vita. Già, perché i buoni propositi non sono misurabili o temporizzati e non riguardano cose.

Dunque. I miei desideri per il 2017: la mia casa, quella da costruire, quella che sogno da anni e per la quale avevo risparmiato per anni. Peccato che quei risparmi siano sfumati nel sostentamento dei due anni di malattia in cui ho guadagnato davvero molto poco. Il sogno è sempre lì, potente, illuminante come un faro anche durante la tempesta.

I miei obiettivi 2017.
Pubblicare il mio terzo libro, Quattro passi in galleria. Dipende solo da me: se l’editore a cui l’ho inviato dovesse rifiutarlo, sta a me trovare un altro editore o ricorrere all’auto-pubblicazione.
E ho finito con gli obiettivi, ma certamente non con i progetti e i buoni propositi.

Da tempo lavoro su un progetto per i pazienti affetti da malattie gravi, per i loro amici e familiari, e per coloro che li curano. Il libro, Quattro passi in galleria, è anche il nome del progetto, che prevede testi, esercizi e corsi in aula. Il progetto è sostanzialmente pronto, il proposito è di iniziarne la realizzazione concreta nel 2017. Non dipende solo da me: mi serve il tempo per completare il materiale, una scuola a cui appoggiarmi per la divulgazione e l’organizzazione dei corsi in aula e, soprattutto, il vostro interesse e la vostra partecipazione. Io ci metto la mia parte.

Mi propongo anche di cogliere tutte, ma proprio tutte, le occasioni che mi permettano di lavorare e guadagnare: è un bisogno mio di realizzazione, e un bisogno del mio conto in banca …

So che, comunque sia l’anno, sarò felice. No, non posso evitare problemi e dispiaceri, ma posso affrontarli. Posso soffrire, anche molto intensamente, e godere ugualmente di quanto di bello e buono trovo intorno a me. Se ami qualcuno sei automaticamente vulnerabile, vivi i loro problemi e le loro sofferenze, ma preferisco accettare le sofferenze insieme all’amore, e amare tante persone, piuttosto che proteggere il mio cuore con un po’ di ghiaccio.

Ho tanti piccoli progetti e farò il possibile per realizzarli, o trovarne di migliori nel corso dell’anno, sfruttando al meglio il mio tempo e le mie, scarse, capacità.

Terrò aperti la mente, il cuore e la pancia.

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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.
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