Soft skills Insegnare gestione del tempo

Non dispiacerti di ciò che non hai potuto fare, rammaricati solo di quando potevi e non hai voluto. Mao Tse-tung

Un giovane capace di gestire il suo tempo ha infinite possibilità. Purtroppo, invece, negli ultimi anni si assiste sempre più a genitori che si limitano ad “impiegare” il tempo dei figli.

Si sa, l’esempio è sempre l’insegnamento più potente. E se un bambino cresce con orari fissi, definiti da altri, e deve limitarsi a correre per farsi trasportare dalla scuola alla palestra, alla lezione di judo, alla piscina, … non può imparare che il tempo è una risorsa. Scusatemi: ciò esula dall’argomento, ma questa abitudine moderna di spendere il tempo invece di investirlo mi fa veramente arrabbiare.


Uno dei metodi più utili per gestire il tempo, che può essere insegnato a qualunque età (anzi: più si è giovani, più è facile impararlo) è quello di lavorare sulla linea del tempo, definita Time line (non per passione verso la terminologia inglese, ma perché è il termine usato da tutti coloro che lavorano con questo metodo).

 

È dimostrato che tutto ciò che visualizziamo, o anche solo rappresentiamo graficamente, rimane più impresso. Ecco quindi un modo di lavorare che può essere usato come esercizio, fatto come un gioco tutti insieme, insegnato a bambini o adulti. Io lo uso ogni volta che voglio organizzare un lavoro complesso.

  • Assicuratevi di avere uno spazio abbastanza libero: vivere fisicamente l’esercizio serve davvero molto!
  • Definire ora la linea del tempo: fissate una immaginaria linea retta davanti a voi (o a chi fa l’esperienza) che rappresenta il futuro
  • Definire un obiettivo, assicurarsi che sia ben chiaro e che il punto di arrivo sia quello desiderato
  • Fissare l’obiettivo con un simbolo disegnato su un foglio: ponete il foglio nel punto della linea del tempo in cui considerate l’obiettivo raggiunto.
  • Identificare le tappe essenziali per raggiungere l’obiettivo
  • Tornare all’inizio e porsi in uno stato d’animo positivo
  • Percorrere il cammino fino all’obiettivo vivendo le diverse tappe
  • Arrivare all’obiettivo e guardarsi indietro, esaminando il vissuto
  • Ripercorrere il cammino dall’obiettivo ad oggi descrivendo le tappe da percorrere

I dettagli

  • Fissate (con un foglio di carta) il punto di partenza del vostro piano.
  • Visualizzate davanti a voi il punto di arrivo, e andate a porre un secondo foglio di carta con su scritto “obiettivo raggiunto”, oppure scrivete l’obiettivo che, in quella data, avrete raggiunto, o rappresentatelo con un disegno
  • Mettetevi al punto di partenza, meglio se armati di foglietti (o post-it), concentratevi (entrate in stato alpha) e cominciate a camminare, visualizzando le azioni e le tappe del vostro piano
  • man mano che visualizzate il raggiungimento di una tappa importante, mettete a terra il vostro post-it, magari segnando di quale tappa si tratta
  • Ad un certo punto arriverete alla fine, raggiungerete l’obiettivo.

Potreste visualizzare il raggiungimento dell’obiettivo ben prima del punto dove avete inizialmente segnato il punto di fine del piano.

In questo caso, forse, valeva la pena essere un po’ più ambiziosi, ma aspettate ancora per modificare il piano.

In molti casi, invece, la visualizzazione evidenzia che i tempi necessari sono stati sottostimati, e che nella pianificazione mancava qualche pezzo.

Anche in questo caso, dovete ancora fare la verifica e aspettare ancora prima di modificare il vostro piano.

Lasciate quindi tutti i vostri segni di tappe, i vostri post-it, e i vostri punti di partenza e di arrivo ben evidenti.

Mettetevi ora al punto di arrivo.

  • Visualizzatevi ad obiettivo raggiunto, calandovi appieno nella visualizzazione. Sentite la soddisfazione dell’obiettivo raggiunto e assaporate tutto quello che avete imparato, soprattutto le risorse interiori di esperienze e capacità che avete conquistato.
  • Mantenendovi in questo stato d’animo, ripercorrete le tappe, dall’obiettivo raggiunto al punto di partenza, con la consapevolezza che avete già fatto tutte quelle cose, vinto tutte quelle sfide.
  • Ripercorrete tutte le tappe, e tutte le azioni che sono state necessarie
  • E ora, dopo aver percorso il piano dall’inizio alla fine, e dal trionfo all’inizio, potete andare a modificare il vostro piano cartaceo.

E se non avete modifiche da apportare, o siete dei pianificatori eccezionali, o avete barato. Inoltre, e ve lo dico per esperienza personale, aver vissuto (ovviamente con l’immaginazione) le diverse tappe le rende più semplici da compiere: si sa, la nostra mente è refrattaria al cambiamento, mentre con questa tecnica evitiamo molti blocchi dovuti all’ansia o alla paura!

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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.
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