Soft skills - Insegnare ad essere leader

Trattando le persone per ciò che sono le renderemo peggiori; provando, invece, a trattarle per ciò che vorrebbero essere, le renderemo capaci di diventarlo davvero. Johann Wolfgang Goethe

È possibile insegnare ad essere ottimi leader fin dall’infanzia, si tratta solo di trovare la strada migliore.

Tutti, prima o poi, nella vita siamo chiamati ad agire la leadership. Può capitare sul lavoro, in famiglia, tra gli amici, o semplicemente (il semplicemente è molto ironico) possiamo essere chiamati a gestire noi stessi: fa tutto parte della leadership. Nessuno è gregario sempre, in ogni occasione, in ogni situazione, a meno che non sia lui stesso a chiamarsi fuori, a cercare sempre qualcuno da seguire o su cui appoggiarsi. Ma, credo, siamo tutti d’accordo di non augurare un simile comportamento neanche al peggior nemico.


Insegnare leadership vuol dire anche arginare il bullismo, per lo meno quelle forme di bullismo che nascono da un’intrinseca vigliaccheria. Ma l’argomento è troppo vasto.

Educare, con l’esempio, con le parole e con il mettersi alla prova vuol dire anche insegnare leadership.

Vediamo quindi alcuni esempi pratici.

Insegnare con l’esempio ad essere leader: su questo tema ho ben pochi suggerimenti. Ciascuno deve fare i conti con se stesso.

Educare con le parole ad essere leader, invece, significa affrontare dialogo e discussioni sull’argomento. Il suggerimento è pertanto diversificato a seconda dell’età dei vostri alunni.

  • Per i più piccini sono le favole, e le successive riflessioni, quelle che più possono servire.
  • Alle scuole elementari, o alle scuole medie, Harry Potter offre fantastici spunti di dialogo e riflessione.
  • Si va dalla leadership di Silente, il mentore saggio che interviene quando serve, alla leadership segreta di Piton: nessuno sa né deve sapere che lui è dedicato al servizio del bene e alla protezione di Harry. Leadership di servizio e dedizione, senza riconoscimenti.
  • La falsa leadership di Draco Malfoy, invece, insegna come la prepotenza nasconda la vigliaccheria.
  • E poi c’è Harry, leader senza volerlo, dimostrazione del potere dell’amore, che impara la compassione e vince grazie alla capacità di provare vera pietà per i nemici, che vivono senza amore.
  • La leadership di Hermione è invece quella dell’intervenire nel momento del bisogno in tutti gli aspetti pratici, e la totale dedizione all’amicizia.
  • Infine Ron: apparente gregario in quanto amico, un po’ sfigato, di Harry. Eppure è lui che a volte risolve la situazione, è lui che insegna a superare le paure e i propri limiti umani di gelosia e senso di inadeguatezza.
  • Alle scuole superiori, invece, si possono creare splendidi momenti di dibattito chiedendo
  • Chi sono i leader
  • Quali sono le caratteristiche dei leader
  • Cosa vorrebbero “copiare” dal loro leader preferito
  • Come possono diventare simili al loro leader e perché
  • E approfittare dell’occasione per renderli sempre più consapevoli dei pericoli della falsa leadership e delle qualità dei grandi leader positivi

Per educare alla leadership attraverso sperimentazioni ci sono diverse strade, e quasi tutte possono essere applicate a qualunque età:

  • il lavoro di gruppo fa emergere i diversi stili di leadership (su cui poi si può discutere) e si possono anche creare gruppi ad hoc dove permettere a tutti di sperimentare la gestione degli altri, del tempo e dell’organizzazione del lavoro
  • tenere una lezione alla classe è uno degli esercizi che trovo più utile, sia per imparare la gestione e la leadership sia per imparare a parlare in pubblico (prima si impara, meglio è)
  • il teatro è poi un altro tipo di esercizio che può rivelarsi vincente, soprattutto per abbattere barriere di paure. Non è indispensabile fare un corso di teatro, o mettere in scena un’intera opera: pensate solo al ragazzino timido che recita il discorso dell’Enrico V di Shakespeare prima della battaglia di San Crispino, o il discorso di Marc’Antonio tratto dal Giulio Cesare, e sperimenta le emozioni del grande leader … 
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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.
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