Quale leadership serve in classe – 2° parte

Dopo aver definito, nell’articolo precedente, i diversi tipi di leadership, esaminiamo quale leadership serve ad un insegnante.

Chiunque voglia gestire persone o situazioni deve essere pronto ad utilizzare tutti i tipi di leadership, con la massima flessibilità, anche passando da un tipo all’altro nell’arco di pochi minuti. 

Un altro elemento essenziale da ricordare è che un problema, o una difficoltà, che si presenta ad un determinato livello può essere risolta solo allo stesso livello, o al livello superiore. Così un problema di ambiente può essere risolto a livello di ambiente o di comportamento, ed un problema di valori può essere risolto come valore o come identità.
L’insegnante dovrà quindi essere estremamente flessibile, e attento sia alla classe nella sua totalità che al singolo studente in quanto può accadere che, in un gruppo, una singola persona si trovi ad un livello completamente diverso dal gruppo. 

Ci sono poi, indubbiamente, momenti in cui è opportuno far prevalere una specifica forma di leadership.
  • Durante il lavoro di gruppo, ad esempio, l’insegnante si concentra sul controllo dell’ambiente, facendo prevalere il management per eccezioni: interviene se e dove è necessario.
  • Prima di una nuova attività è invece importante gestire i comportamenti: dettare le regole del gioco, e fare in modo che vengano comprese e condivise (se sono condivise, verranno rispettate!).
Ricordo che i livelli ambiente e comportamento sono anche quelli in base ai quali viene fornito il feedback agli studenti.

Spesso la scuola, e l’insegnante, tendono a concentrasi sul livello di capacità, e il relativo management per obiettivi, laddove il premio per l’obiettivo raggiunto è il voto al compito o all’interrogazione. È dimostrato che questo tipo di management non funziona laddove sono richiesti sforzi creativi. E, personalmente, ritengo che non ci sia nulla di più creativo che imparare, inteso come trovare il proprio personale metodo di studio e le proprie, personali, motivazioni per imparare. La cultura è basata sulla curiosità dell’apprendimento, e la curiosità fa parte della creatività. Questo è, forse, il grosso limite al sistema scolastico come lo conosciamo. 

Attenzione, però: il problema non si risolve eliminando i voti! Ma riconoscendo i limiti del consueto management per obiettivi è possibile, grazie ad una leadership flessibile e mirata, aggiungere stimoli per superare l’empasse. 
E il seguito alla prossima puntata.

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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.
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