La vendetta dell’olfatto

L’olfatto è decisamente il più bistrattato tra i nostri cinque sensi. 

La PNL (Programmazione neuro linguistica) ha dimostrato l'importanza dei cinque sensi nella nostra comunicazione. Tra i sensi, l'olfatto è il più bistrattato, e merita maggiore attenzione
Ci siamo abituati a pensare che un senso di serie B, e molti fattori ci hanno condizionato. Gli animali hanno un olfatto molto sviluppato, e quindi più o meno inconsciamente pensiamo che la perdita dell’olfatto sia il prezzo da pagare per salire la scala evolutiva. Noi, homo sapiens superiore, sentiamo meno gli odori rispetto al nostro gatto, ma in fondo in fondo questo è indice della nostra superiorità.
Un altro indice della nostra superiorità è che siamo in grado di comandare gli odori, di deciderli (o almeno lo pensiamo).
Le nostre pubblicità sono piene di persone affascinanti, bellissime, che promuovono profumi costosissimi, creandoci l’immagine che più si è ricchi e belli e più abbiamo un buon odore. (e in effetti per acquistare alcuni profumi dobbiamo essere davvero ricchi!)
La nostra televisione è altrettanto piena di personaggi che si scagliano contro gli odori: si va dalla casalinga disperata che improvvisamente si trasforma e da mamma amorevole diventa una sorta di guerriero ninja, estremamente aggressiva, solo per poter scatenare una guerra senza esclusione di colpi agli odori, a simpatici animaletti che si nobilitano e salgono la scala evolutiva imparando a parlare e arredando bellissime abitazioni dove metter su famiglia perché hanno acquistato la capacità e gli strumenti necessari per combattere gli odori.
L’odore della sporcizia è inesorabilmente associato a quello del degrado e della povertà.
In questa nostra battaglia abbiamo però dimenticato che l’olfatto è il più antico e il più autonomo dei cinque sensi. Le strutture che ci consentono di sentire gli odori sono strettamente collegati all’ippocampo, dove ha sede la memoria, e gli odori sono l’unica informazione che percepiamo senza bisogno di complesse elaborazioni cerebrali. 
In realtà non abbiamo perso l’olfatto sacrificandolo sulla scala evolutiva: l’olfatto è sempre lì, anche se l’abbiamo trascurato. 
Ma lui si vendica! 
  • L’olfatto è alla base di moltissime delle nostre ancore, e spesso gestisce le più potenti.
  • Inoltre è in grado di governare molte delle nostre emozioni: simpatia, antipatia, colpi di fulmine, innamoramento, hanno alla base fenomeni olfattivi.
Noi abbiamo rinunciato al nostro olfatto, considerando gli odori come qualcosa da nascondere, modificare, cancellare, ma l’olfatto non ha assolutamente rinunciato a noi.
No, non intendo suggerire di rinunciare a profumi o di lasciar libero per casa l’odore di fritto! Anche se in realtà non mi dispiacerebbe eliminare il costoso profumo di una signora del mio condominio che rende l’ascensore una sorta di camera a gas, per quanto (o, meglio, proprio perché) profumatissima.
Ciò che voglio suggerivi è di coltivare il vostro olfatto per recuperare il vostro mondo. 
  • Assaporare l’odore dei cibi, delle spezie, dei fiori, degli oggetti familiari. 
  • L’odore del pane appena sfornato è un ottimo antidepressivo. 
Passare davanti ad un laboratorio di pasticceria, o davanti ad un fornaio che produce il pane, è un’emozione in grado di strappare un sorriso anche nella giornata più nera. Difendiamolo!  

Autore: Carla Fiorentini 14 dicembre 2025
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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.
Autore: Carla Fiorentini 8 novembre 2025
Spesso a diagnosi di malattia grave fa scattare l’inizio di percorso di gestione dell’esperienza, di un viaggio dell’eroe. Portare a termina il nostro viaggio, iniziato con la diagnosi, fa vincere un premio molto speciale.
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