L'incontro con il mio Idiota galattico

Senza alcuna intenzione offensiva: l’Idiota Galattico è una figura di grande importanza per la crescita personale

Un periodo travagliato, e una domenica pomeriggio finisco al pronto soccorso per una peritonite. E qui incontro il mio Idiota Galattico.
Ma forse è bene fare un passo indietro, raccontando cosa intendo per Idiota Galattico. 
Il primo elemento, importante, di cui ricordarsi è che non ho alcuna intenzione offensiva in questa terminologia.
Ciascuno di noi, nella vita, si pone degli obiettivi, ha dei traguardi. Se alziamo un po’ il livello, di crescita e impegno, abbiamo dei compiti, delle chiamate, dei propositi di vita.
Siamo liberi di rispondere o meno alla chiamata, di cercare e perseguire il nostro proposito di vita o rinunciare. Ci sono differenze tra ciascuno di questi, ma personalmente c’è un’unica differenza che ritengo sostanziale. Ci sono chiamate la cui rinuncia ci porta solo a fare percorsi un po’ più lunghi e tortuosi: prima o poi la vita ci ripropone la chiamata, magari sotto altre forme. 
Ci sono chiamate la cui rinuncia ci porta ad abbandonare il nostro “destino”, a perderci. 
Quando riceviamo la chiamata siamo davanti alla scelta: accettarla o rifiutarla. Se l’accettiamo, dobbiamo varcare la soglia. 
Ed è ora che veniamo messi alla prova, incontrando ostacoli. Tra noi e il seguito del viaggio si interpone il guardiano della soglia, che ci sfida e tenta di portarci alla rinuncia: il nostro Idiota Galattico.
Ne incontriamo diversi nella vita. 
  • Spesso il primo Idiota Galattico è quell’insegnante che lancia affermazioni distruttive. “Non capisci la matematica”, e noi scegliamo percorsi di studio, o di carriera, condizionati da questa affermazione, spesso rinunciando ai sogni o a ciò che saremmo destinati a fare.
Uno dei miei principali Idiota Galattico è stato mio padre che per tutti i cinque anni di università ha continuato a ripetermi che non sarei mai stata in grado di laurearmi in quella facoltà, decisamente troppo difficile per le mie capacità. L’obiettivo, per me, non era solo la laurea, ma le professioni a cui avrei potuto accedere con quella laurea, e le prospettive di andare a lavorare lontano dalla mia città e dalla mia famiglia. Perseguire il mio obiettivo, combattere il guardiano della soglia, mi ha insegnato il problem solving e la tenacia: una lezione importante.
  • Ecco: talvolta l’Idiota Galattico è un genitore che non ha fiducia in noi o, all’opposto, un genitore talmente iperprotettivo da impedirci di affrontare difficoltà, sfide, errori e fallimenti.
A volte, e sono situazioni complesse, siamo noi gli Idioti Galattici di noi stessi, ma questa è un’altra storia.
E dopo aver chiesto perdono per questa lunga, ma necessaria, premessa, eccomi all’incontro col mio Idiota Galattico.
Quando ho iniziato la libera professione ho sentito il bisogno di unificare il mio mestiere e le mie passioni. Ho dunque iniziato a dedicarmi alla comunicazione in abito salute.
Il primo obiettivo era insegnare ai medici e ai professionisti della salute a comunicare in maniera più efficace. Poco a poco, studiando e facendo esperienze, la mia chiamata, che coincide col mio proposito di vita, è diventato quello di creare sinergie tra una buona comunicazione e la gestione della salute.
Un desiderio ambizioso. Ho avuto qualche successo, ma sono ben lontana dall’aver espresso e realizzato tutto il potenziale di questo compito.
Ed eccomi, in un giorno di luglio, sperimentare un dolore intenso e mai provato. Penso che… passerà, ma non è così: peggiora. Finché, una domenica pomeriggio, cerco la guardia medica, con scarso successo. Trovo però una guardia medica a pagamento. Servizio costoso, ma impeccabile. Nel giro di poco arriva un medico che, dopo avermi visitato, mi dice che ho tutti i sintomi di un’appendicite che, probabilmente, sta già andando in peritonite. Compila i moduli e chiama lui stesso l’ambulanza, in codice giallo, con l’indicazione di farmi un’ecografia addominale urgente.
In famiglia ho una situazione davvero complicata (tra l’altro mio marito è appena uscito dall’ospedale e non può essere lasciato solo), ma sto troppo male: salgo sull’ambulanza.
  • Alle 15.00 sono al pronto soccorso.
  • Alle 20.00 non ho ancora fatto l’esame richiesto.
Nelle lunghe ore di attesa ho fatto esercizi di respirazione, meditato a lungo, e ho accuratamente cercato di rilassarmi, con successo, ed evitato di incavolarmi, con meno successo.
  • Alle 21.00 passate non è ancora accaduto nulla. Nessun esame, tranne quelli del sangue. Nessuna flebo di antibiotico o antidolorifico. E io esplodo, dichiarando che vado a casa.
In pochi minuti compaiono un paio di flebo, mi mandano a fare una TC addominale con mezzo di contrasto (che conferma la peritonite) e in brevissimo tempo arriva il chirurgo: il mio Idiota Galattico.
Cominciamo male, e proseguiamo peggio.
Io ho appena finito di parlare con mio marito e con la persona che lo assiste, ho pianto e sono angosciata.
Lui mi aggredisce: Non faccia i capricci, deve essere operata.
Ho una situazione familiare molto difficile. Se è possibile preferisco una cura di antibiotici e antidolorifici e andare a casa.
I suoi problemi personali e familiari non mi interessano. Lei ha la peritonite e deve essere operata.
Capisco che devo cedere: ne so abbastanza da conoscere i rischi. Ora mi chiede il consenso informato, dopo avermi debitamente spiegato l’intervento. Mi racconta che non si sa bene, una volta iniziata l’operazione, quale situazione si presenterà. 
Ci sono parecchi rischi, e la sua obesità è un grosso rischio aggiuntivo. Potremmo dover togliere anche parte dell’intestino. In ogni caso avrà delle aderenze, dolore per lungo tempo ed alte probabilità di blocchi intestinali. 
Mi sa dire, in linea di massima, quanti giorni dovrò passare in ospedale? 
Non si può sapere, dipende dalle complicazioni che ci saranno.
Che ci saranno, non che potrebbero presentarsi. Che ci saranno, come se fossero certe.

Stanca, preoccupata, dolorante, esasperata, reagisco male. Mi sento peggio di quando ho dovuto affrontare l’operazione per il tumore: lì avevo introno un’equipe di medici protettivi e rassicuranti. Qui ho di fronte un terrorista.
Ma Lei ha mai sentito parlare di comunicazione medico – paziente? Sta cercando di terrorizzarmi quando dovrebbe informarmi e rassicurarmi!
Quelle sono tutte fesserie per medici alle prime armi. Io, vede, ho i capelli bianchi, trent’anni di esperienza, e tutta quella roba non mi serve.
Eccolo, il mio Idiota Galattico. Le successive conversazioni saranno altrettanto angoscianti e terrorizzanti.
Non so se avesse un obiettivo, ma ha ottenuto un risultato: dubito fortemente dell’utilità del mio lavoro, dubito della mia chiamata, del mio proposito di vita.
Ha davvero senso dedicarsi a quello che sto facendo, con impegno, ore di studio, passione?
Come guardiano della soglia è potente. Ho ancora dubbi, che cercherò di chiarire in queste settimane di convalescenza.
Tu che leggi, hai consigli per me?

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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.
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