Il viaggio dell’eroe: la favola
Il viaggio dell'eroe è un potente strumento di crescita personale: qui è raccontato come una favola

C’era una volta, in un Paese lontano lontano, un Innocente 
che viveva sereno, felice e inconsapevole. Intorno a lui tutto era bello, limpido, tranquillo, e lui viveva completamente abbandonato alla bellezza e alla gioia.
 
 Un giorno, nel Paese lontano lontano, giunse un drago. La storia non dice se il drago era grande o piccino, ma sappiamo che era un vero drago, con grandi artigli, grandi ali e la capacità di sputare enormi colonne di fuoco dalle fauci.
 
 L’innocente non si accorse del drago, circondato com’era dalla pace e dalla serenità, e continuò a vivere come era sempre vissuto: era l’unico modo che conosceva.
 
 A poco a poco l’aria diventava più torbida, il sole veniva oscurato e il mondo era meno bello, ma l’innocente non lo vedeva. Finché alzò gli occhi e improvvisamente vide il cambiamento. Lui non aveva osservato le trasformazioni mano a mano che accadevano, vide solo il risultato, e rimase sconvolto. Improvvisamente, in un lampo, in una frazione di secondo, riconobbe il drago, e ne fu terrorizzato al punto di cambiare nome: divenne orfano.
Ora nel Paese lontano lontano viveva l’Orfano, solo e abbandonato. Era orfano di tutto il bello, di tutta la gioia e di tutta la serenità, e guardava il drago. Lo guardava fisso, vedeva solo il drago, e di nuovo il tempo e il mondo si erano fermati, ma questa volta nel dolore e nella solitudine. Non sappiamo per quanto tempo l’orfano guardasse il drago, ma sappiamo che all’orfano quel tempo sembrò infinito e immobile.
 
 Finché un giorno, guardando fissamente il drago, gli esplose nell’anima una domanda: perché? E fu come se si rompesse una diga di un torrente in piena: l’orfano fu travolto da una valanga di domande e di visioni, al punto da cambiare nuovamente nome e diventare martire.
Martire 
vide tutte le cose e le persone intorno a sé, e vide tutte le differenze tra il mondo che aveva conosciuto come innocente e il mondo che vedeva ora come martire. E chiese perché il mondo era cambiato, poi chiese perché ogni singola cosa fosse cambiata, perché il cielo era cambiato, perché l’aria era cambiata, perché la luce fosse mutata. E non si fermò qui. Ora non sapeva più stare solo o in silenzio. Chiese perché questo drago era toccato a lui, e lo chiese a tutti, a tutti i fiori, a tutti i fili d’erba, a tutte le persone, sperando che il porre tutte le domande che lo assillavano lo aiutasse almeno a lenire il dolore.
 
 Ma non fu così.
 
 Non trovava risposte e sentiva costantemente aumentare l’ansia, sentiva svanire le sue energie e la sua stessa vita. Fino a quando … non sappiamo se fu un lampo di luce o un bisbiglio dell’aria, ma ebbe una prima risposta: devi andare.
 
 E capì che non poteva ricevere risposte rimanendo nello stesso luogo dove era stato felice ed ora era infelice. Così prese con sé pochissime cose a andò via, e guardando per l’ultima volta il suo mondo gridò, o forse sussurrò al vento, “ora vado. Vado a cercare risposte e armi per uccidere il drago. E quando avrò trovato ciò che cerco tornerò, ucciderò il drago. E per ricordarmi della mia promessa da ora mi chiamerò viandante.”
E Viandante 
andò per il mondo, percorse tutte le strade conosciute e alcune vie ignote ai più. Raccoglieva pillole di saggezza, piccole risposte, armi di tutti i tipi, e ogni sera faceva l’inventario e prometteva a se stesso “Domani, domani troverò altre risposte, altre armi”.
 
 Non sappiamo per quanto tempo abbia vagato per il mondo Viandante, ma sappiamo che un giorno incontrò un bambino innocente che gli disse: tu sei un guerriero! Contro chi combatti?
Viandante stava per rispondere no, non sono un guerriero, 
ma si guardò riflesso nel lago e vide che in realtà lo era diventato. Era pieno di armi micidiali, aveva una corazza fortissima, che non poteva esse trapassata da alcuna arma fabbricata dall’uomo e disse: sì, sono 
Guerriero, e ora sono pronto per uccidere il mio drago.
 
 E in quel momento, esattamente in quel momento, comparve il drago, e cominciarono a combattere.
 
 Fu una lotta lunga, senza esclusione di colpi, a volte sembrava vincere il guerriero, altre volte sembrava potesse essere sopraffatto dal drago, ma erano ad armi pari.Non posso sconfiggerlo così! Questo pensiero compariva scompariva dalla mente di guerriero, poi divenne costante: ho bisogno di magia!
E diventò Mago. Imparò tutti i trucchi necessari, tutte le magie del mondo, inventò nuove magie, e tornò ad affrontare il drago.
 
 Ma lungo tutta la strada percorsa, il nostro protagonista aveva imparato tanto, e così da mago seppe che aveva  aumentato tutte le sue capacità, e finalmente guardò il drago con occhi nuovi, e lo guardò negli occhi.
 
 E in quel momento vide la bellezza e la magia del drago e disse:
 
 tu non mi sei nemico! anzi, mi sei amico e mi hai sempre guidato e sostenuto e incoraggiato. farò un’ultima magia, e ti porterò sempre con me.
E nel momento in cui fece la magia, si accorse che il mondo intorno a lui aveva di nuovo tutta la bellezza e la serenità che ricordava. Sbatté le palpebre, non poteva crederci: il mondo era ancora più bello di quanto ricordasse e di quanto avesse mai sognato, e ne capì anche la ragione. All’inizio del viaggio lui godeva del mondo, ma ora che era di nuovo Innocente sapeva di aver contribuito a creare la bellezza del suo mondo, e ne era consapevole.
 

Quando si parla di rinnovare la scuola, soprattutto la scuola dell’obbligo, sento che alla base c’è un grande equivoco, un enorme fraintendimento che vanifica qualunque buona intenzione.                                                      Lo so:                         non ho alcun titolo per fare questa affermazione.                                              E infatti il mio non è un giudizio, ma una riflessione, che pure sento condivisa da tanti insegnanti sicuramente volonterosi e scrupolosi, e dubbiosi sul loro futuro e su quello dei loro studenti.                                                                   Come dice Snoopy “                                                                  educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco                                                                ”. Ci sono altre frasi, altri dotti autori, che nel tempo hanno affermato lo stesso concetto: mi piace riprendere le parole di Snoopy perché hanno tutta la saggezza dei nostri bambini.                                                                  I politici, deputati a fare la riforma scolastica o almeno a prendersi cura della scuola, continuano ad affermare che                         la scuola deve preparare al mondo del lavoro, deve formare i ragazzi per il futuro.                                                                                             L’equivoco è proprio qui.                                                  È vero che la scuola deve preparare i ragazzi, è vero che la scuola può e dovrebbe fornire tecniche, strumenti, mezzi per il futuro e per il mondo del lavoro.                                                                                             Ma pensiamo un attimo alla differenza del mondo del lavoro tra quando andavamo noi a scuola e quando poi siamo andati a lavorare, o alla differenza della società tra quando abbiamo iniziato a lavorare e oggi.                                                                               C’è un abisso!                                                      Ci sono differenze enormi.                                  E l’accelerazione ai cambiamenti a cui assistiamo fanno pensare che tra oggi e il 2030, 2040, quando andranno (speriamo) a lavorare i ragazzi che oggi sono alle scuole elementari le differenze saranno davvero impensabili.                                                                   Come possiamo preparare i bambini ad un futuro che ci è totalmente ignoto, ad un mondo del lavoro che non conosciamo?                        Le differenze tra l’oggi e i successivi 15-20 anni erano molto meno marcate 30 o 50 anni fa.                                                      Non possiamo preparare gli studenti di oggi al mondo del lavoro del futuro, semplicemente perché non sappiamo quale sarà il mondo del lavoro in futuro.                                                                   Quello che possiamo (e, credo, dobbiamo fare) è mettere gli studenti di oggi in condizione di costruirsi il futuro, di affrontare al meglio il mondo del lavoro e la loro vita futura.                        Dobbiamo fornire le basi affinché abbiano voglia di impegnarsi per creare un futuro e una società migliore, migliore anche di quella che gli stiamo mostrando oggi.                                                                                 Oggi, più che mai, dobbiamo trasmettere un fuoco di cultura vera, creativa, gioiosa.                                                  Se per farlo è necessario aumentare le tecnologie a scuola (ed è necessario) gli insegnanti dovranno impegnarsi per apprenderle e usarle. Ma ricordando che                                                   la tecnologia è un mezzo, non un fine                                                  .                                                                                             La scuola non prepara                                        al                                        futuro:                                                                               la scuola prepara                                           il                                           futuro                                                      se costruisce cittadini consapevoli, preparati, fiduciosi, collaborativi, curiosi, colti, uomini e donne ricchi di valori e di cultura.
 

Se facessimo una classifica di pazienti modello gli italiani non sarebbero certo ai primi posti, lo sappiamo da anni.                         Sappiamo che gli italiani si auto riducono i dosaggi, terminano le cure prima di quanto ha detto il medico, non rispettano le posologie, …                                                      Ora, a tutto questo, si è aggiunta una sorta di auto-riduzione dei farmaci prescritti.                       Ma il vero problema è che ora tutto ciò che già accadeva, e molto di più, è originato dalle difficoltà economiche in cui versano molti italiani.                                  E se prima le autoriduzioni di posologia o durata della terapia erano frequenti soprattutto nelle patologie acute, oggi la rinuncia alla terapia, o la sua drastica riduzione, avviene soprattutto nelle patologie croniche.                                                                   E raramente il medico è a conoscenza della situazione: il paziente non ha la forza, o il coraggio, di dichiarare al medico la sua realtà.                                                                  Ancora una volta, dunque, è il farmacista colui che ha maggiormente il polso della situazione, e che è chiamato, sebbene non ufficialmente, a supportare il paziente.                                                                   Cosa può dunque fare il farmacista?                                                      Il mio parere personale è di creare una vera e propria rete di allerta, sostegno e valutazione che coinvolga il farmacista “di quartiere” e il medico di base, che abbia anche la possibilità di intervento reale nel fornire farmaci a chi, davvero, rinuncia alle terapie per motivi economici. È un sogno, lo so.                                           Rimanendo su azioni concrete credo che il farmacista possa fare molto con le sue capacità di sostegno e consiglio, senza sostituirsi al medico.                                          Credo anche che il futuro sia nello sviluppo di  competenze di coaching per il medico e il farmacista. Competenze che permettono di motivare il paziente, supportarlo durante la terapia, finalizzare le cure, e ridurre anche i costi in numerose sfaccettature del sistema sanitario consentendo così di ricavare risorse per fornire terapie totalmente gratuite a chi, altrimenti, non può permettersele.                               Un sogno anche questo, ma più facile da raggiungere rispetto al precedente.
 

Non è, ovviamente, mia intenzione dare consigli su rimedi della nonna, antiche ricette o terapie alternative, ma solo riflettere, e farvi riflettere, su                         come rispondere al paziente che vi racconta di cure di supporto che, a lui, appaiono tanto efficaci.                                                      Le situazioni sono molteplici, e i rimedi sono infiniti.                       Si va dai consigli alimentari alle cure palliative, dai decotti alle sciarpe rosse: si usa di tutto e si sente di tutto. Talvolta sono i rimedi della nonna, altre volte sono antiche ricette lette su qualche rivista di salute, o consigli letti sul web o ricevuti da qualche amico.                                                      Siatene certi: la maggior parte dei vostri pazienti fa uso di qualche rimedio, integratore, elemento salutistico o alimento prodigioso, sia che ve lo racconti sia che stia in totale silenzio                      . Ci sono gli alimenti salutari, le medicine alternative, i rimedi tramandati in famiglia, le pubblicità …                                                                                                 È chiaro che il medico dovrà valutare caso per caso, ma ci sono alcune raccomandazioni (dettate dal buon senso, oltre che dallo studio della comunicazione) che valgono sempre.                                                                              Il primo consiglio è che                           è sempre meglio sapere tutto quello che il paziente assume o fa,                          soprattutto se siete il medico di famiglia che tiene le fila della sua storia clinica.                                                                  Se contestate, sminuite, rifiutate o ridicolizzate ogni rimedio che i vostri pazienti ritengono efficaci ciò che otterrete non sarà l’eliminazione delle aggiunte, palliative o terapeutiche, ma solo e semplicemente il paziente smetterà di raccontarvi ciò che assume                            .                                                  Il secondo consiglio, strettamente correlato al primo, è che                           l’effetto placebo, nelle sue diverse forme, è un fattore fondamentale per la guarigione, di qualunque malattia.                          Visto che parliamo di rimedi della nonna citerò le parole di mia nonna, quando mi trovò (avevo circa un anno) a mangiare i chicchi d’uva raccolti da terra poiché non arrivavo ai filari: quel che non strozza, ingrassa. Quello che non fa male, va bene.                                                                               Imparate quindi ad accettare quei rimedi che non fanno alcun danno, e accettateli di buon grado.                                  Eliminate, invece, drasticamente ciò che è rischioso o, meglio ancora, sostituitelo con qualcosa che sia innocuo o davvero di supporto.                               Potrete così mantenere alto l’effetto placebo e, contemporaneamente, conservare la fiducia del vostro paziente e un alto livello di dialogo.
 

Dopo una laurea in chimica e tecnologie farmaceutiche e oltre 20 anni di carriera in aziende farmaceutiche multinazionali, e continuando ad aggiornarmi anche da quando faccio la libera professione, credevo si sapere molto sui placebo e sull’effetto placebo. Ma questo libro mi ha affascinato e fatto fare nuove scoperte fin dalle prime pagine.                                          I suoi pregi sono moltissimi.                               I pregi pratici:                       è piccolo, leggero, economico. Può essere messo in borsa e letto ovunque. E anche queste piccole cose non sono da sottovalutare.                                          È scritto benissimo.                       Si pone l’obiettivo di essere un testo divulgativo, e lo è davvero                      . Ricchissimo di cultura e di riferimenti storico – letterari – filosofici manca totalmente di pomposità o frasi contorte che spesso si trovano in questo tipo di libri. Qui c’è la cultura vera.   Einstein diceva “                       Non hai veramente capito qualcosa fino a quando non sei in grado di spiegarlo a tua nonna                      ”, affermazione che condivido appieno perché chi sa davvero sa anche semplificare i concetti. Fabrizio Benedetti sa. Sa spiegare, sa affascinare.                               E il libro è anche affascinante per i contenuti, il rigore scientifico.                               È imperdibile per tutti coloro che lavorano in ambito salute, ed è utile per tutti.
 

Il titolo completo del libro è                                       Intelligenza emotiva                                                                Cos’è e perché può renderci felici.                                                                   Daniel Goleman è sicuramente il più autorevole esperto mondiale di intelligenza emotiva. Il libro viene talvolta dichiarato “fuori catalogo”, ma vi assicuro che si trova ancora, sia in libreria che per gli acquisti on line.                               Queste le notizie pratiche. E poi, che dire?                               È interessante, scritto bene, leggibilissimo. E, soprattutto, imperdibile per chiunque abbia interesse per le relazioni umane, per chi educa, collabora o guida altri esseri umani.
 





