Coinvolgi anche l'inconscio!
Quante volte avete letto della legge di attrazione, o del pensiero positivo, o ancora che basta desiderare fortemente qualcosa per ottenerla?
Sì, è tutto realmente possibile. Eppure ci sono alcuni elementi che vengono citati raramente, e che sono fondamentali. Nessun dubbio che abbiamo una parte conscia, razionale, e una parte inconscia. A ciò corrispondono i due emisferi cerebrali e sono ormai tantissimi gli studi che dimostrano come la sincronicità e la cooperazione tra i due emisferi abbia un ruolo nel benessere di ciascuno. Cominciamo a sapere parecchio sul funzionamento del cervello, eppure talvolta dimentichiamo elementi basilari.
Il linguaggio, e le relative sfumature, fa parte dell’emisfero razionale, logico:
pensa attraverso le parole, è lento nell’elaborare i dati, ed è governato dalla volontà. Poi c’è l’altra parte, quella dell’inconscio, rapidissimo nell’elaborazione dei dati, governato dall’istinto. Qui le parole contano poco o, per essere più precisi, vale quello che le parole riescono a trasmettere in termini di sensazioni.
Per intenderci, è quella parte del cervello dei vostri pazienti che rendete partecipi della terapia, artefici della compliance, governatore dell’effetto placebo, quando usate le metafore o il linguaggio del Milton model: i risultati che si possono ottenere sono straordinari.
Ci sono quindi alcune regole da usare quando parliamo all’inconscio, che valgono anche quando ci poniamo degli obiettivi o esprimiamo dei desideri (sui desideri c’è molto da dire, e molto da lavorare: lo vedremo anche in prossimi esercizi)
Capita spesso che ci si ponga un obiettivo e poi … ci sabotiamo da soli. eppure sappiamo di avere la volontà e le capacità per raggiungerlo. Una delle cause principali è che nel formulare l’obiettivo ci eravamo “dimenticati” di coinvolgere il nostro inconscio, di renderlo pienamente partecipe. Come fare, quindi?
Cominciamo formulando correttamente l’obiettivo in maniera razionale, usando i criteri del coaching. Poi, nel prossimo esercizio, vedremo come coinvolgere anche l’altro emisfero cerebrale.
Per facilitare la memorizzazione della tecnica si dice che un obiettivo deve essere formulato in maniera SMART:
- Specifico
- Misurabile
- Attraente
- Ragionevole
- Temporizzato
Specifico
Deve riguardare un solo aspetto o parametro ben definito
Misurabile
Deve contenere un valore o un elemento misurabile talvolta anche o solo soggettivamente
Attraente
Deve piacere e coinvolgere chi lo esprime e, possibilmente, anche a chi collabora al suo raggiungimento
Ragionevole
Ragionevole e raggiungibile. Porsi obiettivi impossibili rispetto alla proprie risorse o condizioni di partenza equivale a non porsene affatto o a percorrere una strada lastricata di afflizione e frustrazione. Piuttosto, strada facendo, se si valuta che c’è altro spazio di manovra o che i risultati si stanno manifestando più velocemente del previsto, si può alzare l’asticella e rideterminarne l’obiettivo per renderlo più sfidante
Temporizzato
Deve indicare una data entro cui raggiungere l’obiettivo
Ma un obiettivo deve anche essere affermativo o formulato al tempo presente, ecologico e responsabilizzante.
- Affermativo Espresso in indicativo presente
- Ecologico Non deve danneggiare altre persone né altri aspetti della vita
- Responsabilizzante Espresso in prima persona, deve riguardare solo ed esclusivamente la persona stessa e la sua sfera di potere personale
Ecco quindi che la fatidica dieta può essere razionalmente sostenuta dall’affermazione: Io perdo 5 chili entro le prossime 6 settimane.
A voi, ora, stabilire i vostri obiettivi.
Ed eccoci alla seconda puntata. Finora abbiamo coinvolto totalmente la nostra parte conscia, il nostro emisfero razionale. Il nostro inconscio è stato informato correttamente dell’obiettivo, ma non ancora pienamente coinvolto.
Perché affermo che “è stato informato correttamente dell’obiettivo”? Avremmo potuto passargli informazioni errate? Certo che sì, e lo facciamo spesso.
Torniamo all’esempio della dieta. Spesso diciamo “da lunedì mi metto a dieta”, al punto che questa frase è diventata quasi una battuta poiché, ovviamente, si tratta sempre di un prossimo lunedì, che non arriva mai. Ogni volta che usiamo il verbo al futuro per designare un obiettivo siamo esattamente in questa situazione.
Un’altra formulazione controproducente, anch’essa frequente, è l’uso della negazione: “io non mi arrabbio” è un obiettivo destinato a non realizzarsi mai poiché l’inconscio elabora le informazioni talmente in fretta da perdere quel “non”, quindi gli obiettivi che giungono all’inconscio sono solo in positivo. Il nostro emisfero emotivo comprende “io mi arrabbio”!
Un altro elemento importante è la precisione della formulazione. Come dice spesso uno dei miei mentori: il nostro angelo custode ha molta buona volontà, ma è un po’ tonto e disattento. Così se ci teniamo sul vago: “io dimagrisco” potremmo facilmente attivare qualche sistema inconscio che ci scatena una feroce influenza. È sempre dimagrimento, ma potrebbe procurare danni! Sognare vagamente un’auto nuova rischia di farci passare da una fantastica Audi A4 ad una meno fantastica 500.
Ancora, però, l’inconscio non è stato davvero coinvolto.
Per attivare, rendere pienamente partecipe anche il nostro emisfero irrazionale al raggiungimento dell’obiettivo dobbiamo usare il suo linguaggio, quello che usa e comprende: il linguaggio dei sensi.
Già, il nostro inconscio parla per immagini (vista), suoni (udito) e sensazioni, sia tattili che emozionali.
Quindi per coinvolgerlo nell’obiettivo della dieta dobbiamo comunicargli il punto di arrivo usando il suo linguaggio. Così possiamo aggiungere una visualizzazione della bilancia che segna i fatidici cinque chili in meno, magari accompagnata dal suono della marcia trionfale dell’Aida. Oppure trasmettergli la sensazione tattile di quella maniglia dell’amore che è nettamente diminuita, o quella sensazione emotiva del sentirsi più leggeri, o terribilmente attraenti.
Liberate la fantasia!

La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …

Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.






