Bloccati nel percorso: il viandante
La gestione delle esperienze difficili. Bloccati nell'archetipo del viandante

Dopo la beata ignoranza dell’innocente, dopo lo shock dell’orfano e la sofferenza del martire, il viandante rappresenta la decisione. Non può ancora affrontare il drago, non ne ha la forza e non ne ha gli strumenti, ma non vuole più essere in balia del drago.
Quindi il viandante “parte”, si allontana dal drago, fugge.
Quando l’allontanamento, la fuga, costituisce un percorso per raccogliere le armi, la forza e l’esperienza per poter, poi, combattere il drago, si tratta della scelta migliore: è il vero inizio della guarigione.
L’archetipo del viandante è presente sia nei tarocchi, dove l’eremita ha molte delle sue caratteristiche, sia nell’I Ching, dove è l’esagramma 56.
Ora mi preme sottolineare cosa avviene quando si rimane bloccati nel ruolo del viandante.
Perché non è difficile, e non è raro, rimanere bloccati nel ruolo del viandante.
Innanzi tutto esistono diversi tipi di fuga, diverse modalità per allontanarsi dal drago. E tra queste ci sono alcuni tipi di droga, ma anche alcune reazioni di “fuga” che possono diventare dipendenze: internet stesso, come dimostrato da alcuni dati preoccupanti, lo shopping compulsivo, il gioco …
E poi ci sono i falsi, e ripetitivi, cambiamenti:
- cambiare lavoro
- cambiare città ripetutamente
- cambiare partner …
tutte modalità e reazioni “sane”, efficaci, utili, che però possono essere fatte con ripetizione eccessiva ed ossessiva per mascherare diverse forme di disagio e per evitare di modificare se stessi.
Il viandante vero si guarda dentro, modifica se stesso, cresce e si rafforza giorno per giorno. Chi, invece, si blocca nella fase del viandante vede solo i difetti degli altri e, spesso raccoglie solo armi esteriori, ma gli mancano, e continueranno a mancargli, quelle armi che nascono dalla forza interiore di chi ha accettato di guardare anche se stesso come drago.

Non è, ovviamente, mia intenzione dare consigli su rimedi della nonna, antiche ricette o terapie alternative, ma solo riflettere, e farvi riflettere, su come rispondere al paziente che vi racconta di cure di supporto che, a lui, appaiono tanto efficaci. Le situazioni sono molteplici, e i rimedi sono infiniti. Si va dai consigli alimentari alle cure palliative, dai decotti alle sciarpe rosse: si usa di tutto e si sente di tutto. Talvolta sono i rimedi della nonna, altre volte sono antiche ricette lette su qualche rivista di salute, o consigli letti sul web o ricevuti da qualche amico. Siatene certi: la maggior parte dei vostri pazienti fa uso di qualche rimedio, integratore, elemento salutistico o alimento prodigioso, sia che ve lo racconti sia che stia in totale silenzio . Ci sono gli alimenti salutari, le medicine alternative, i rimedi tramandati in famiglia, le pubblicità … È chiaro che il medico dovrà valutare caso per caso, ma ci sono alcune raccomandazioni (dettate dal buon senso, oltre che dallo studio della comunicazione) che valgono sempre. Il primo consiglio è che è sempre meglio sapere tutto quello che il paziente assume o fa, soprattutto se siete il medico di famiglia che tiene le fila della sua storia clinica. Se contestate, sminuite, rifiutate o ridicolizzate ogni rimedio che i vostri pazienti ritengono efficaci ciò che otterrete non sarà l’eliminazione delle aggiunte, palliative o terapeutiche, ma solo e semplicemente il paziente smetterà di raccontarvi ciò che assume . Il secondo consiglio, strettamente correlato al primo, è che l’effetto placebo, nelle sue diverse forme, è un fattore fondamentale per la guarigione, di qualunque malattia. Visto che parliamo di rimedi della nonna citerò le parole di mia nonna, quando mi trovò (avevo circa un anno) a mangiare i chicchi d’uva raccolti da terra poiché non arrivavo ai filari: quel che non strozza, ingrassa. Quello che non fa male, va bene. Imparate quindi ad accettare quei rimedi che non fanno alcun danno, e accettateli di buon grado. Eliminate, invece, drasticamente ciò che è rischioso o, meglio ancora, sostituitelo con qualcosa che sia innocuo o davvero di supporto. Potrete così mantenere alto l’effetto placebo e, contemporaneamente, conservare la fiducia del vostro paziente e un alto livello di dialogo.

Dopo una laurea in chimica e tecnologie farmaceutiche e oltre 20 anni di carriera in aziende farmaceutiche multinazionali, e continuando ad aggiornarmi anche da quando faccio la libera professione, credevo si sapere molto sui placebo e sull’effetto placebo. Ma questo libro mi ha affascinato e fatto fare nuove scoperte fin dalle prime pagine. I suoi pregi sono moltissimi. I pregi pratici: è piccolo, leggero, economico. Può essere messo in borsa e letto ovunque. E anche queste piccole cose non sono da sottovalutare. È scritto benissimo. Si pone l’obiettivo di essere un testo divulgativo, e lo è davvero . Ricchissimo di cultura e di riferimenti storico – letterari – filosofici manca totalmente di pomposità o frasi contorte che spesso si trovano in questo tipo di libri. Qui c’è la cultura vera. Einstein diceva “ Non hai veramente capito qualcosa fino a quando non sei in grado di spiegarlo a tua nonna ”, affermazione che condivido appieno perché chi sa davvero sa anche semplificare i concetti. Fabrizio Benedetti sa. Sa spiegare, sa affascinare. E il libro è anche affascinante per i contenuti, il rigore scientifico. È imperdibile per tutti coloro che lavorano in ambito salute, ed è utile per tutti.

Il titolo completo del libro è Intelligenza emotiva Cos’è e perché può renderci felici. Daniel Goleman è sicuramente il più autorevole esperto mondiale di intelligenza emotiva. Il libro viene talvolta dichiarato “fuori catalogo”, ma vi assicuro che si trova ancora, sia in libreria che per gli acquisti on line. Queste le notizie pratiche. E poi, che dire? È interessante, scritto bene, leggibilissimo. E, soprattutto, imperdibile per chiunque abbia interesse per le relazioni umane, per chi educa, collabora o guida altri esseri umani.