Soft skills - Esercizi di team working

Il lavoro di gruppo è essenziale. Ti permette sempre di dare la colpa a qualcun altro. (Ottava regola di Finagle) Arthur Bloch

Il primo, e fondamentale, esercizio per il team working è smettere di pensare in termini di colpa: qualunque fesseria il gruppo decida, una volta approvata, diventa del gruppo.

A nulla serve dire, e nemmeno pensare, “Io non ero d’accordo”.

Nello stesso tempo, se siete stati voi in prima persona a dare il via alla fesseria, dovete mantenerne la responsabilità, che è ben diversa dalla colpa.

Se avessi la bacchetta magica, penso che la prima magia da fare sia proprio questa: rendere le persone consapevoli della differenza tra colpa e responsabilità, indurle a sentirsi responsabili, ma non colpevoli, e smettere di attribuire colpe a destra e a manca.

Purtroppo, il principio vale anche se vi tocca lavorare in squadra con quel collega disastroso, che non capisce mai, che non ascolta mai … Bisogna essere diplomatici e contemporaneamente profondamente onesti.


La maggior parte degli esercizi finalizzati ad ottimizzare il lavoro di squadra sono esercizi di team building, cioè esercizi che sviluppano attitudini utili al lavoro di gruppo.

Alcuni degli esercizi basilari sono quelli sulla fiducia, che può essere sviluppata lavorando in coppia o in gruppo.

  • In coppia: uno dei due viene bendato, in modo che non possa vedere assolutamente nulla. Viene poi guidato dal compagno attraverso un percorso più o meno accidentato. È un esercizio che può essere fatto in aula, basta creare lo spazio adeguato, o in palestra, o anche all’esterno, durante una passeggiata in campagna.
  • Diverso, invece, è l’esercizio che misura e sviluppa la fiducia verso il gruppo. Il gruppo si mette in cerchio, con una persona al centro. La persona al centro chiude gli occhi, e si lascia oscillare, in maniera sempre più ampia, lasciandosi andare alle mani del gruppo che lo accoglie e lo invia verso l’altra parte del cerchio. Anche questo è un esercizio che può essere tranquillamente fatto in palestra. C’è, però, un’avvertenza: la maggior parte delle persone lo trovano estremamente gradevole. Qualcuno, invece, per varie ragioni, lo vive come un vero e proprio incubo: situazione generalmente collegabile a qualche trauma subito. Se, quindi, lo fate fare ai vostri alunni, lasciateli liberi di scegliere se farlo o no e siate pronti ad intervenire se qualcuno dovesse viverlo male.


Tra gli esercizi di team building ci sono poi quelli che vengono chiamati rompighiaccio, cioè piccoli giochi utili a favorire la conoscenza reciproca delle persone. Tra questi vi cito un esempio, utile anche con un gruppo numeroso.

  • Le persone si mettono in cerchio. Voi, che iniziate il gioco, prendete un gomitolo di spago e prendetene in mano il capo, cominciando a srotolarlo. Cominciate a raccontare qualcosa di voi stessi, ad esempio cosa volete ottenere con il gruppo, o perché siete in quel gruppo. Quando uno dei partecipanti sente una parole, o una frase, che lo coinvolge, si aggancia allo spago, che voi continuate a tenere. Poco a poco, ci si trova tutti avvolti dallo spago, e tutti collegati da qualcosa, da una frase, da una parole, da una sensazione. 

Un altro elemento importante del lavoro di gruppo è stabilire, dichiarare e condividere le regole del gruppo. Non si tratta di pignoleria, ma di evitare inutili fraintendimenti e perdite di tempo man mano che si va avanti con il lavoro vero e proprio.

Se, come insegnante, organizzate il lavoro di gruppo dei vostri studenti, iniziate consegnando un foglio con alcune regole del lavoro di gruppo dando poi, come primo compito, ad ogni gruppo il diritto e la responsabilità di modificarle, ampliarle, cambiarle per il loro gruppo: scoprirete cose sorprendenti! 

Autore: Carla Fiorentini 14 dicembre 2025
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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.
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