Serve davvero?

Un caso pratico di comunicazione

Storia

Buon giorno dottore. Sono andato dal suo collega, come mi aveva consigliato, e mi sono trovato benissimo. Grazie davvero. Mi ha dato una dieta, vietandomi i formaggi e le bevande alcooliche, e mi ha detto di ridurre gli zuccheri. Mi ha prescritto tre diversi farmaci: X da prendere al mattino, Y da prendere la sera e Z da prendere a giorni alterni. Mi ha anche consigliato di rifare gli esami tra due mesi e di fare un controllo da lui dopo aver rifatto gli esami, e di farmi seguire da lei in questo periodo.

Ora avrei un po’ di domande da porle.

  • Il latte lo posso bere?
  • X, Y e Z hanno effetti collaterali?
  • Quali effetti collaterali hanno?
  • Faranno effetto in fretta?
  • Devo prendere X prima o dopo aver fatto colazione?
  • Posso mettere lo zucchero nel caffè o è meglio evitarlo?
  • Devo prendere Z sempre alla stessa ora?
  • Gli esami sono da rifare due mesi dopo la visita o due mesi dopo che ho iniziato la cura?
  • Y è in gocce. Cosa succede se prendo una goccia in più o in meno?
  • Quali sintomi devo controllare in particolare per sapere se la cura sta funzionando?

Domande

Un paziente dialoga col medico, ma avrete solo le parole del paziente. Non preoccupatevi minimamente del significato clinico – diagnostico di ciò che viene detto!! Si tratta di un esempio che, dal punto di vista medico, è totalmente assurdo.

  • Identificate quali domande sono poste in maniera utile e quali invece risultano poco utili, a meno che il medico non sappia interagire efficacemente.

È importante ricordare che una domanda viene definita “utile” o “inutile” in base ad un concetto di comunicazione, e non in base a criteri clinici.

  • Vengono definite “utili” le domande che, esattamente così come sono formulate e indipendentemente dalle caratteristiche comunicazionali del paziente o del medico, permettono di aggiungere informazioni utili al rapporto medico – paziente.
  • Le domande inutili, invece, sono di due tipi:
  • Domande assolutamente inutili: non aggiungono nulla al dialogo medico – paziente o addirittura lo rendono più difficile e complesso
  • Domande inutili da gestire: sono domande che, così come sono formulate, sono inutili, ma possono diventare utili se formulate in maniera diversa o se fatte da alcune tipologie di pazienti, e richiedono quindi una gestione accurata.

Risposta

Identificate quali domande sono poste in maniera utile e quali invece risultano poco utili, a meno che il medico non sappia interagire efficacemente.

È importante ricordare che una domanda viene definita “utile” o “inutile” in base ad un concetto di comunicazione, e non in base a criteri clinici.

  • Vengono definite “utili” le domande che, esattamente così come sono formulate e indipendentemente dalle caratteristiche comunicazionali del paziente o del medico, permettono di aggiungere informazioni utili al rapporto medico – paziente.
  • Le domande inutili, invece, sono di due tipi:
  • Domande assolutamente inutili: non aggiungono nulla al dialogo medico – paziente o addirittura lo rendono più difficile e complesso
  • Domande inutili da gestire: sono domande che, così come sono formulate, sono inutili, ma possono diventare utili se formulate in maniera diversa o se fatte da alcune tipologie di pazienti, e richiedono quindi una gestione accurata.
  1. Il latte lo posso bere? Utile
  2. X, Y e Z hanno effetti collaterali?  Inutile
  3. Quali effetti collaterali hanno?     Inutile
  4. Faranno effetto in fretta?    Inutile
  5. Devo prendere X prima o dopo aver fatto colazione?      Utile
  6. Posso mettere lo zucchero nel caffè o è meglio evitarlo?  Utile
  7. Devo prendere Z sempre alla stessa ora?     Inutile
  8. Gli esami sono da rifare due mesi dopo la visita o due mesi dopo che ho iniziato la cura?       Utile
  9. Y è in gocce. Cosa succede se prendo una goccia in più o in meno?  Inutile
  10. Quali sintomi devo controllare in particolare per sapere se la cura sta funzionando?        Inutile

Analisi delle domande dichiarate “inutili”

  • X, Y e Z hanno effetti collaterali?
  • Troppo vaga. Potrebbe indicare che il paziente ha paura di qualcosa, che quindi va identificato. La domanda va comunque presa in considerazione, ma è opportuno indagare usando il meta modello affinché diventi più chiara e specifica
  • Quali effetti collaterali hanno?
  • Troppo vaga. Anche in questo caso è raccomandato l’uso del meta modello per ottenere domande più precise e specifiche.
  • Faranno effetto in fretta?
  • Cosa significa “in fretta”?
  • Il meta modello permette di capire cosa intende il paziente con la definizione “in fretta” (Due ore o due settimane?)
  • Potrebbe anche essere opportuno indagare la time line del paziente per evitare fraintendimenti pericolosi
  • Devo prendere Z sempre alla stessa ora?
  • Gestire la tolleranza oraria in funzione del paziente. per un paziente analitico o direttivo la precisione è importante e viene solitamente rispettata, quindi la risposta del medico dovrebbe essere puntuale, ad evidenziare la sua competenza, ma può essere data una tolleranza di tempo maggiore Viceversa il paziente amabile o espressivo aumenterà qualunque lasso di tempo venga dato, quindi conviene essere più severi

Il paziente visivo o uditivo tenderanno a rispettare i margini di tolleranza forniti, mentre il paziente cinestesico no

  • Y è in gocce. Cosa succede se prendo una goccia in più o in meno?
  • Gestire la risposta in funzione del paziente Anche in questo caso la conoscenza dello stile sociale del paziente e / o del suo filtro sensoriale prevalente guida il tipo di risposta
  • Quali sintomi devo controllare in particolare per sapere se la cura sta funzionando?
  • Gestire la risposta in funzione del paziente. La conoscenza dello stile sociale del paziente e / o dei suoi meta programmi guida il tipo di risposta
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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.
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