Harry Potter per trasmettere valori

Ancora Harry Potter come supporto all’insegnamento

L’intera saga è piena di valori, ma non si tratta solo di buoni sentimenti: c’è molto di più.
Cominciamo da quelli più ovvi:
  • l’amicizia che troviamo costante, come il filo conduttore dell’amicizia tra Harry, Ron e Hermione. Ma c’è anche l’amicizia nell’ambito della generazione precedente, quella tra il papà di Harry, Lupin, Sirius e Peter Minus. Qui l’amicizia mostra anche elementi non sempre positivi, come quando i quattro tormentano Piton, e poi sfocia nel tradimento di Peter Minus – Codaliscia. C’è davvero di che discutere e riflettere.
  • il rispetto per il mentore Silente, anche quando ci sono motivi per dubitare o mettere in discussione la fiducia. Da parte sua il maestro ammette i suoi errori.
  • Il coraggio, visto come capacità di superare la paura e non come assenza di paura.
Questo per i valori importanti, trasmessi in tutto il corso della storia. Poi ci sono due messaggi fondamentali: uno sulla leadership e uno sull’amore.
Harry è famoso, è il prescelto, ma non è mai un leader carismatico, un trascinatore di folle. Harry fa del suo meglio perché si trova in mezzo alle situazioni, e molto spesso perché viene messo in mezzo. Come vedremo, la leadership di Harry Potter è sostanzialmente una leadership di valori.
Neanche Vordemort è un leader carismatico: lui è guidato dal suo potere personale, da suo personale desiderio di immortalità. Le persone lo seguono per paura, potere personale: non lo seguono perché condividono un sogno. In effetti, il sogno non è mai presente nel pensiero di Vordemort: la sua è una leadership di identità.
Silente è decisamente più carismatico, ma lo vediamo raramente impegnato a trascinare gli altri.
Il vero leader carismatico nella saga di Harry Potter è Neville Paciock: lo sfigato che, quando Harry sembra essere morto, chiama tutti alla battaglia per amore del bene, della libertà, del sogno condiviso.
E l’amore?
L’amore vice, sempre. L’amore è la più potente protezione che esista.
  • È l’amore materno che fornisce ad Harry la protezione verso la più potente maledizione che esista, a cui nessuno era sopravvissuto prima.
Pensate che anche questo faccia parte della favola? Sappiate che studiando gli orfani durante le due guerre mondiali si era già osservato che, indipendentemente dall’età in cui rimanevano orfani, i bambini che erano stati molto amati avevano maggiori probabilità di sopravvivenza e morire probabilità di contrarre malattie. 
L’amore è la più forte protezione che esista. Questo, in pratica, apre notevoli difficoltà nei riguardi dei bambini non amati. Io credo che, in una scuola funzionale, quando gli insegnanti si accorgono che un bambino non è stato amato dai genitori, e non ha avuto modo di trovare amore sostitutivo, debbano intervenire gli psicologi infantili, anche se il bambino sembra perfettamente adattato e privo di problemi. La mancanza di amore va curata come una grave malattia.
Ma nella saga c’è di più.
In Harry Potter e l’ordine della fenice, poco dopo che è stato ucciso Sirius Black, Vordemort prende letteralmente possesso di Harry. La presenza e il sostegno di Silente sono certamente utili, ma c’è un momento ben preciso in cui Harry si libera, e una frase ben precisa che fa scattare la sua vittoria. “Tu non conoscerai mai l’amore, e mi dispiace per te.”
  • E sapete qual è uno dei principi importanti nelle arti marziali? Devi amare il tuo avversario se vuoi sconfiggerlo.
Ci sono tutti gli elementi per insegnare che il potere dell’amore è decisamente più importante e vincente dell’amore per il potere.

Autore: Carla Fiorentini 14 dicembre 2025
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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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Harry vince la battaglia finale, ma ha vinto molto prima
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Che succede 10 anni dopo la diagnosi?
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Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.
Autore: Carla Fiorentini 8 novembre 2025
Spesso a diagnosi di malattia grave fa scattare l’inizio di percorso di gestione dell’esperienza, di un viaggio dell’eroe. Portare a termina il nostro viaggio, iniziato con la diagnosi, fa vincere un premio molto speciale.
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